Non è tutto oro quello che luccica. Nonostante una buona situazione economica generale, dal 2014 il tasso di povertà in Svizzera è in costante aumento. E sull’AVS, la grande conquista nella storia delle assicurazioni sociali, inizia ad accumularsi una patina che la rende opaca: il 13,9% degli over 65 ha un reddito mensile che lo colloca al di sotto della povertà e in Ticino la situazione è la più grave del paese: un pensionato su tre arranca per arrivare a fine mese. La rendita non basta più come ci racconta un 75enne di Locarno nella giornata di mobilitazione nazionale per la tredicesima AVS, in votazione il prossimo 3 marzo.

 

Le statistiche sono numeri per alcuni astratte, però la povertà, quel fenomeno che in Svizzera è stato negli ultimi decenni invisibile, inizia a vedersi, a manifestarsi nelle città, ad avere dei volti e dei luoghi in cui si palesa con un aumento di strutture, nate su impulso della società civile, per dare risposte materiali. E sono in tanti a trovarsi nel bisogno come emerge da una recente ricerca di Pro Senectute in collaborazione con la Zürcher Hochschule für Angewandte Wissenschaften e l’Università di Ginevra.        

La povertà tra gli anziani non è destinata a fermarsi, anche perché in Svizzera ci avviciniamo ai 2 milioni di persone in età di pensionamento. Le cifre parlano chiaro: secondo lo studio Pro Senectute, in Svizzera il 13,9% degli over 65 ha un reddito mensile che lo colloca al di sotto della povertà assoluta (2.279 franchi). La situazione più grave in assoluto è vissuta in Ticino, dove un pensionato su tre fatica ad arrivare a fine mese (la percentuale da noi sale al 29,5%).

Nessun colpo di scena e verrebbe da dire nulla di nuovo sotto il sole (o nella Sonnenstube), perché in Svizzera i pensionati più colpiti dall’indigenza risiedono nel nostro cantone. Lo studio però fa emergere i cambiamenti in atto in tutto il paese: categoria dopo categoria, e quindi non solo gli stranieri, le donne con percorsi professionali intermittenti o chi ha una bassa scolarizzazione, non sembra più essere al sicuro all’interno del sistema previdenziale elvetico. Neppure chi ha lavorato tutta la vita e condotto esistenze “normali”.       

Ciò che sembrava una conquista, la pensione, inizia a mostrare i segni del tempo. Che cosa sta accadendo? Sicuramente se il sistema ha saputo rispondere in passato alle esigenze della terza età, oggi la trasformazione strutturale della società e del mondo del lavoro impone di rivedere il modello, perché in un paese ricco il rischio di finire la propria esistenza in povertà, dopo avere lavorato regolarmente, non può essere accettato. La testimonianza di un 75enne, ticinese, laureato, in uno stato di indigenza, è indicativa di come una vita possa essere stravolta.

 

Di fatto, chi lo direbbe mai che il vicino della porta accanto (o del monolocale in questo caso), seppur dai modi distinti, un tempo abitava in una delle vie più lussuose di Locarno? In un palazzo signorile di proprietà della famiglia, con un’attività commerciale rinomata in città e un tenore di vita molto alto. E oggi? Il mese lo fa quadrare con una miseria di 2.265 franchi.

 Carlo, (nome di fantasia) è quel che si direbbe un uomo della Locarno bene. Famiglia molto agiata, studi accademici, frequentazioni nel “bel mondo” e un’esistenza che per lungo tempo è sembrata una favola. «Sono stato un uomo fortunato: cresciuto in una famiglia benestante, dove non c’erano problemi economici, ma soprattutto all’interno della quale regnava armonia e unione. I miei lavoravo duro, ma avevano le loro soddisfazioni. Ricordo ancora le memorabili vacanze con parenti e amici: a St. Moritz d’inverno, la Costa Azzurra d’estate e i weekend nel nostro rustico. Erano momenti di spensieratezza, che riflettevano la leggerezza e spensieratezza con cui potevamo prendere la vita. A scuola andavo bene e mi sono laureato senza difficoltà al Politecnico di Zurigo».

Carlo, terminati gli studi accademici, opta per entrare nell’azienda di famiglia che, ben avviata, è parte integrante della storia identitaria in cui si riconosce. «Se mi guardo indietro, penso di avere vissuto decenni incredibili: senza preoccupazioni di alcun tipo, contatti interessanti, agiatezza economica. Il portafoglio era sempre pieno e negli anni Settanta, Ottanta, Novanta lo aprivo come una fisarmonica: viaggi, i migliori ristoranti, i vestiti delle boutique pregiate. Non era ostentazione la mia, ma potevo permettermi il meglio e non mi ponevo questioni relative al futuro: ero convinto che quel presente sarebbe durato per sempre».

 Carlo, con un titolo universitario, che parla quattro lingue, e ha sempre lavorato a un certo punto subisce una battuta d’arresto. «Intorno al 2000 cala improvvisamente il giro d’affari. Una situazione che tampono, attingendo ai risparmi privati, ma l’attività non riprende, le entrate non pareggiano le uscite e io continuo a prelevare per pagare affitti dei negozi, stipendi, fornitori. È un pozzo senza fine e il conto inizia a prosciugarsi, fino a estinguersi. Un periodo molto duro, perché che coincide con un momento pesante anche sul piano privato. Dopo vari tentativi disperati per salvare l’azienda familiare, resto senza un soldo, vendo le proprietà per pagare i debiti, e chiudo tutto».

Quel per sempre ha un punto, che stravolge la vita di Carlo. «Non ero ancora in età pensionabile e per anni sono sopravvissuto vendendo oggetti di famiglia. A 65 anni ho ricevuto l’AVS e oggi vivo con 2.265 franchi al mese. Il secondo pilastro come indipendente non l’avevo e il terzo non ho mai pensato di stipularlo. È stato drammatico perdere tutto, vedere la propria vita stravolta: se mi sono “salvato” lo devo a una grande stabilità mentale e a una buona rete di amici».

Pubblicato il 

01.02.24