SLAPP (simile a “slap”, schiaffo in lingua inglese) è un termine nato dall’acronimo di Strategic lawsuit against public participation (traducibile in italiano con “azione legale strategica contro la partecipazione pubblica”). Le SLAPP sono in sostanza quelle azioni legali tese a intimidire l’avversario e a reprimere la libertà di espressione. Azioni di questo tipo sono in aumento in Svizzera, dove uomini d’affari e multinazionali hanno sempre più nel mirino l’operato delle ONG e dei giornalisti. Un fenomeno preoccupante, al quale si sta cercando di porre rimedio.

 

Public Eye e TRIAL International contro Kolmar Group: una prima vittoria

Iniziamo con una notizia positiva: qualche giorno fa, il Tribunale regionale di Bern-Mittelland ha assolto i due autori e l’autrice di un rapporto pubblicato da TRIAL International e da Public Eye dall’accusa di diffamazione e calunnia. La denuncia era stata inoltrata da una società attiva nel commercio di petrolio basata a Zugo, Kolmar Group AG. Al centro del contenzioso vi era un rapporto pubblicato nel marzo del 2020 che svelava il coinvolgimento di Kolmar nel contrabbando di petrolio libico tra il 2014 e il 2015. Le due ONG avevano tracciato la rotta di tre petroliere provenienti dalle coste libiche e dimostrato che, in ventidue occasioni, le navi avevano scaricato il loro carico nelle cisterne che il commerciante con sede a Zugo noleggiava a Malta. A seguito di questa indagine, TRIAL International aveva sporto una denuncia penale che ha portato il Ministero pubblico della Confederazione (MPC) ad aprire un’inchiesta contro ignoti per “sospetti crimini di guerra tramite saccheggio”.

La vicenda è purtroppo lungi dall’essere terminata. Kolmar ha già annunciato che farà ricorso. Sempre per questo caso, la società di trading ha attivato un’altra procedura nel Canton Zugo dove ha chiesto alle ONG e agli autori del rapporto un rimborso danni per qualcosa come 1,8 milioni di dollari. Mai prima d’ora una tale somma era stata chiesta a una ONG elvetica per una presunta violazione dei diritti della personalità. «Procedimenti di questo tipo sono un buon esempio di come, anche in Svizzera, i tribunali siano sempre più chiamati a pronunciarsi su casi in cui i querelanti chiedono il ritiro di pubblicazioni su argomenti di interesse pubblico» ci spiega Géraldine Viret, portavoce di Public Eye.

 

Casi in crescita

Un recente studio condotto dall’associazione Eper ha constatato che negli ultimi anni vi sono stati diversi casi di denunce civili o penali di questo tipo contro delle associazioni elvetiche. Negli ultimi anni alcune ONG hanno fatto loro gli strumenti del giornalismo d’inchiesta e svolgono un ruolo sempre più importante come cane da guardia della democrazia. Pubblicando dei rapporti nei quali vengono messe in luce delle pratiche contrarie ai diritti umani o nefaste per l’ambiente da parte soprattutto di imprese svizzere, le associazioni sono però sempre più soggette a ricevere degli schiaffi giuridici.

La situazione è peggiorata negli ultimi anni, come ci spiega Cybèle Schneider, autrice per Eper dello studio menzionato: «Tra il 2010 e il 2018 c’è stata solo una denuncia, dal 2018 invece sono state depositate una dozzina di SLAPP. I denuncianti sono spesso delle grandi imprese o degli individui con mezzi finanziari importanti a disposizione». L’esperta sottolinea anche gli effetti che questi attacchi possono avere: «L’intimidazione si fa sentire. Le denunce sono sinonimo di un rischio finanziario importante, senza contare cosa comportano in termini di tempo e di stress. Le ONG diventano estremamente prudenti e devono valutare bene prima di pubblicare un rapporto. Ciò ha quindi un reale effetto dissuasivo».

 

Una situazione simile ce la racconta anche Thaïs In der Smitten, di Swissaid. L’ONG è da anni oggetto di un attacco giudiziario da parte della raffineria ticinese Valcambi a seguito della pubblicazione di un rapporto sui suoi clienti opachi: «La nostra inchiesta del 2020 sulle attività commerciali della raffineria e in particolare sulle controverse importazioni di oro da Dubai hanno scatenato la reazione della società che sta cercando con ogni modo di screditare il nostro rapporto e di attaccarci su più fronti». Valcambi si è attivata sul fronte civile e su quello penale, denunciando anche l’autore del rapporto. Per Swissaid questa situazione comporta notevole dispendio di risorse umane e finanziarie: «Tempo e denaro che potremmo usare meglio, ad esempio realizzando nuovi rapporti» spiega la rappresentante dell’ONG secondo cui, però, è importante «resistere all’autocensura».

 

Colpiti anche i media

A finire nel mirino di queste pratiche sono sempre più spesso anche i media, pure quelli del servizio pubblico. Prendiamo il caso della trasmissione Patti Chiari della RSI. Lo scorso autunno un suo servizio sugli inquinamenti da PFAS in Ticino era stato bloccato a seguito di una richiesta dell’azienda MKS PAMP, basata a Ginevra e che possiede una filiale a Castel San Pietro. Il servizio era poi stato mandato in onda a seguito di una decisione di prima istanza dei giudici ginevrini che davano ragione a Patti Chiari. Dopo l’emissione, però, la ditta – che raffina oro nel Mendrisiotto – aveva nuovamente fatto ricorso alla giustizia, imponendo di togliere il servizio da tutte le piattaforme. Ad inizio febbraio la sentenza d’appello che conferma l’oggettività dell’inchiesta e l’interesse pubblico nel divulgare queste informazioni. Da notare che dietro la procedura contro RSI c’è lo stesso avvocato che ha difeso Kolmar Group AG contro Public Eye e Trial International.

 

Casi simili hanno coinvolto anche Gotham City. A raccontarci l’esperienza è François Pilet, giornalista ed editore di questa pubblicazione romanda che settimanalmente racconta casi di criminalità economica che toccano la piazza svizzera.  «In cinque occasioni dal 2020, la nostra pubblicazione è stata oggetto di provvedimenti volti a vietare la pubblicazione di articoli su uomini d’affari. In quattro casi, i tribunali hanno riconosciuto l’interesse pubblico dell’informazione e si sono espressi a nostro favore. Tuttavia, alcuni dei querelanti sconfitti si rifiutano di pagare le spese legali riconosciute alla nostra casa editrice dai tribunali, il che equivale a esercitare una pressione economica sulla nostra testata». Per il giornalista l’accrescersi delle denunce è un problema serio: «Il succedersi delle cause ha infatti indebolito la nostra piccola società editrice, ciò che certamente era anche l’obiettivo dei ricorrenti». Di recente François Pilet è stato invitato a Berna dall’associazione svizzera dei giornalisti Impressum per sensibilizzare i parlamentari sulla problematica delle SLAPP: «La cosa che più mi ha sorpreso – ci confida Pilet – è che la maggior parte dei deputati non aveva mai sentito nominare questa parola».

 

Un’alleanza per far fronte al problema

Di fronte all’accentuarsi del fenomeno, ecco che la società civile ha deciso di reagire. Qualche settimana fa, una quindicina di ONG svizzere hanno formato, in collaborazione con l’associazione dei giornalisti Impressum, l’Alleanza contro le Slapp. L’obiettivo ce lo spiega Cybèle Schneider, di Eper: «Vogliamo in primo luogo sensibilizzare il pubblico, ma si tratta anche di lanciare un processo politico per lottare contro questo fenomeno». Al riguardo, l’Unione europea sta sviluppando una direttiva affinché i tribunali riconoscano le SLAPP e le blocchino sul nascere. In Svizzera si aspetta la decisione dell’Europa, ma dietro le quinte ci si sta già muovendo con i responsabili politici e gli organismi competenti per promuovere una riforma legislativa efficace. L’alleanza ha anche instaurato un fondo comune, per aiutare individui, associazioni e media toccati da questo genere di procedure.

Pubblicato il 

28.02.24
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