L'editoriale

“La creazione di un fondo per le vittime dell’amianto è una gran buona cosa, ma mi domando: i responsabili materiali della tragedia contribuiscono al suo finanziamento? E non dovrebbero anche rispondere del loro comportamento davanti a un tribunale?”. È l’interrogativo, comprensibile e legittimo, posto da un lavoratore e militante di Unia durante una recente assemblea sindacale in cui veniva presentato il Fondo di risarcimento per le vittime dell’amianto (Fva) in Svizzera, formalmente operativo da alcuni giorni. Un interrogativo da cui emerge con prepotenza quel sentimento d’ingiustizia che pervade chiunque è stato toccato (direttamente o indirettamente) da questa tragedia umana e ambientale con cui purtroppo, nonostante l’amianto in Svizzera sia bandito dal 1990, dovremo fare i conti ancora per decenni.


Sarebbe però sbagliato giudicare il fondo appena istituito utilizzando il bisogno di giustizia come metro di giudizio, perché non è questa la sua funzione e perché bisogna oggettivamente riconoscere che la soluzione trovata è tutt’altro che scontata in una realtà politica e culturale “complicata” come quella Svizzera. Un paese celebre nel mondo per essere la patria non solo degli orologi e del cioccolato ma anche dell’Eternit, la multinazionale del cemento-amianto, per quasi un secolo di proprietà della famiglia Schmidheiny.  


Un vero e proprio colosso, che negli anni di massimo splendore era arrivata a controllare più di mille società in giro per il mondo, attive sia nell’estrazione sia nella lavorazione dell’amianto. Ma non solo: la Svizzera è storicamente l’eldorado della lobby dell’amianto, che di fatto ha “dettato” alle autorità politiche tempi e modi della messa al bando di questa sostanza, così come le norme in materia di prescrizione per mettere i responsabili al riparo da guai giudiziari seri.
Non è  certo un caso che proprio in Svizzera, a Zurigo nel 1929, sia nato il primo cartello europeo dei produttori di cemento-amianto, che è stato attivo fino agli anni Novanta e che è servito (oltre che per il controllo dei prezzi) come piattaforma per organizzare la contro-informazione, per corrompere scienziati nell’intento di nascondere le evidenze scientifiche sulla pericolosità dell’amianto, per infiltrarsi nelle agenzie dell’Onu, per spiare giornalisti, sindacati e associazioni delle vittime, soprattutto in Italia per cercare di sfuggire alle iniziative giudiziarie della magistratura di Torino. In quella Torino dove Stephan Schmidheiny (ultimo padrone dell’impero Eternit ancora in vita) è tuttora sotto processo per le migliaia di morti causate dai suoi stabilimenti in Italia e anche in relazione al decesso di alcuni cittadini italiani che hanno lavorato negli stabilimenti Eternit in Svizzera, a Payerne (Vaud) e soprattutto a Niederurnen (Glarona), sede storica dell’azienda.


Processi che in Italia si celebrano e che in Svizzera non si possono celebrare a causa di norme in materia di prescrizione ultragarantiste nell’ambito della criminalità d’impresa.
Può certamente suscitare rabbia vedere come nel nostro paese questa tragedia prevista e voluta venga “liquidata” con la creazione di un fondo che risarcisce solo una parte delle vittime (a dipendenza della malattia che le ha colpite e del momento in cui questo avvenuto) e a condizione che queste rinuncino a iniziative di carattere giudiziario. E lo stesso dicasi per il fatto che uno con le responsabilità di Schmid­heiny se la cavi con poco (ammesso che contribuisca con qualche franco al Fva) o nulla.
Ma la ragione deve suggerire un altro approccio, perché il compromesso che ha portato alla creazione del fondo (che poggia su un finanziamento privato di carattere volontario) è nato nel difficile contesto descritto e dunque non era affatto scontato. E poi a un numero (piccolo o grande) di persone, al di là del fatto che la vita e la salute non hanno prezzo, garantirà comunque risarcimenti importanti.


Infine va anche considerato il valore simbolico del fondo, che rappresenta indubbiamente un fatto nuovo, una rottura col passato per un paese che con la tragedia dell’amianto ha sempre fatto fatica a fare i conti. Anche sul piano culturale: si pensi che ancora oggi in una realtà come Niederurnen, nonostante i numerosi morti d’amianto che “popolano” il cimitero cittadino, c’è ancora chi afferma che l’Eternit non c’entra nulla.
Ora si tratta di passare ai fatti e il nostro auspicio è quello che le decisioni sugli indennizzi siano prese all’insegna della ragionevolezza e che le vittime non siano costrette a estenuanti battaglie per dimostrare di esserlo.

Pubblicato il 

06.07.17

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